Origine dei nostri comportamenti sociali
Come abbiamo visto nella prima lezione la nostra economia può definirsi economia predatoria: cerchiamo adesso di capire perché.
L’economia predatoria è un effetto dei nostri comportamenti, che dipendono dall’ambiente nel quale viviamo. Nel lungo termine l’ambiente (clima, territorio, altre forme di vita, risorse) influenza i nostri geni1, responsabili dell’evoluzione2, nel senso che determinate caratteristiche ambientali, quali un clima freddo, favoriranno quei soggetti i cui geni permetteranno meglio loro di proteggersi dal freddo, selezionando in modo naturale i più adatti a sopravvivere in quel determinato ambiente. Nel breve termine l’ambiente influenza la nostra cultura3, responsabile della lingua, delle consuetudini, delle forme organizzative sociali, quindi anche dell’economia, cultura che è trasmissibile e quindi modificabile in tempi rapidi attraverso i memi, unità di trasmissione culturale analoghi, appunto a livello culturale, ai geni.
Ogni nostro comportamento è quindi in parte innato, cioè di origine genetica, in parte culturale, cioè di origini memica. Ogni nostro comportamento può quindi, almeno in parte, essere velocemente modificato senza attendere i lunghi tempi dell’evoluzione.
Prima di vedere come modificare dei comportamenti dobbiamo però capire perché alcuni di questi sono di origine genetica, in particolare il comportamento predatorio; per farlo dobbiamo ripercorrere la storia dell’uomo, a partire dall’evoluzione.
L’evoluzione è una teoria scientifica; nel linguaggio comune teoria4 è sinonimo di ipotesi, cioè qualcosa di astratto, mentre in scienza una teoria è una ben fondata spiegazione di alcuni aspetti del mondo naturale, basata su di un insieme di fatti ripetutamente confermati mediante osservazione ed esperimento5. Ogni teoria scientifica si basa quindi sul moderno metodo scientifico, pietra miliare dell’evoluzione del pensiero umano, il cui inventore è Galileo Galilei6 (Pisa, 1564 – Arcetri, 1642; nell’immagine sopra). Una teoria scientifica è quindi una rappresentazione oggettiva della realtà, osservata tramite i nostri sensi e gli strumenti scientifici; specularmente, ciò che non è scientifico è soggettivo. Soggettivo non significa errato, bensì che si tratta di un’ipotesi (o congettura) da verificare in modo scientifico.
Elemento fondamentale dell’evoluzione che ha una particolare rilevanza nella nostra analisi è la selezione naturale (definita per la prima volta da Charles Darwin -nell’immagine a lato-, il padre dell’evoluzione, nel libro del 1859 On the Origin of Species7), che è quel processo graduale e noncasuale per mezzo del quale i trattibiologici -per esempio gli occhi azzurri o castani- diventano più o meno comuni in una popolazione in funzione del differenziale di riproduzione dei loro portatori, cioè in pratica del numero di figli di ogni soggetto in grado di riprodursi. Concetto centrale della selezione naturale è la fitness, cioè l’abilità a sopravvivere e riprodursi, che dipende dall’ambiente nel quale si vive e dai geni.
Per esempio, un leone capobranco avrà un’ampia percentuale di successo nel trasferire i suoi tratti biologici rispetto ad un altro leone del branco, visto che sarà lui a scegliere con chi riprodursi e quando farlo. Tra i tratti del leone capobranco vi saranno anche quelli relativi alla forza e alla leadership, considerando che in un ambiente naturale, altamente competitivo riguardo le risorse (cibo, territorio, partner) queste doti sono particolarmente necessarie per la sopravvivienza. Se invece le risorse sono abbondanti, per esempio sono presenti tante prede e il territorio è ampio, la competizione sarà inferiore quindi forza e leadership del capobranco saranno tratti meno necessari come meno necessarie saranno la velocità e la forza delle femmine, che sono coloro che cacciano.
Come vedremo meglio nel prossimo capitolo, per milioni di anni i nostri antenati Hominini8 hanno vissuto in ambienti altamente competitivi riguardo le risorse, quindi i comportamenti competitivi sono genetici proprio perché influenzati per milioni di anni dall’ambiente naturale; a livello culturale, a seguito di migliaia di anni vissuti in ambienti competitivi, la competizione è la base della storia della nostra cultura, quindi della nostra economia. È una logica conseguenza che i nostri comportamenti attuali siano configurabili come lotta sia per vincere, comportamento tipico della competizione, sia per privare il perdente dei suoi averi -e in alcuni casi della sua vita- non solo a livello economico, comportamento che è appunto quello del predatore, quale è l’uomo9. In particolare l’uomo, grazie alla sua intelligenza, è adesso in cima alla piramide della predazione come specie, dato che in molti ambienti naturali non abbiamo di fatto alcun predatore contro cui competere per le risorse, se non noi stessi.
Quest’immagine dell’essere umano predatore non è per nulla nuova nella storia del pensiero, sebbene non corroborata da studi scientifici come avviene adesso: si trova infatti già nell’espressione latina homo homini lupus, cioè l’uomo è un lupo per l’uomo, generalmente attribuita a Thomas Hobbes (1588-1679), filosofo britannico autore del volume di filosofia politica intitolato Leviatano (1651)10; è comunque corretto darne merito al suo primo ideatore, Plauto (nell’immagine a lato), commediografo dell’antica Roma vissuto fra il III e il II secolo AEC, che scrisse, con significato analogo, lupus est homo homini11. Il dubbio sulla bontà umana, o per meglio dire la certezza sulla presenza della cattiveria, spiegata dalla religione cattolica e protestante con la presenza del demonio, è comunque ancora più antico: Diogene Laerzio (180-240) storico greco vissuto sotto l’Impero Romano, nella sua opera più importante Vite dei filosofi parlando di Biante, filosofo greco del VI secolo AEC, gli attribuì la seguente affermazione: “la maggioranza degli uomini è cattiva”. Per capire appieno il significato del motivo per cui da millenni si ritiene che gli uomini siano cattivi, anche verso i propri simili, e come questo giudizio morale si colleghi alla predazione, dobbiamo ripercorrere la storia umana non solo in chiave economica; è necessario includere, come abbiamo fatto adesso e continueremo, la biologia (la scienza che studia tutto ciò che riguarda la vita), come pure l’etologia (lo studio scientifico del comportamento animale nel suo ambiente naturale) e l’antropologia (lo studio scientifico del comportamento umano nella società), approccio a nostro avviso necessario per avere una visione chiara del presente, condizione necessaria per costruire un futuro diverso.
È ipotizzabile che alcune date indicate nei capitoli successivi relativi ad oltre 12.000 anni fa necessitino di retrodatazione: l’archeologia, periodicamente, ci riserva infatti enormi sorprese. In ogni caso possamo affermare che la storia umana è influenzata da fattori climatici e in generale ambientali (compresi quelli distruttivi), come pure dall’incremento demografico che dipende dal progresso scientifico e tecnologico, progresso da distinguersi dall’evoluzione. Considerando l’importanza dei due termini è fondamentale chiarire cosa significano: per progresso si intende generalmente un miglioramento, cioè un cambiamento che porta dei vantaggi; si parla infatti di progresso economico, tecnologico, etc. Col termine evoluzione ci si riferisce invece a un graduale cambiamento nel tempo, non necessariamente vantaggioso; per esempio l’evoluzione di una malattia, di una tempesta, delle fasi della Luna.
Dato che l’evoluzione biologica consiste in un graduale cambiamento che comporta sempre un qualche vantaggio per la sopravvivenza della specie (ovvero della discendenza), come per esempio una maggiore capacità di procurarsi il cibo, di proteggere la prole, di sfuggire ai predatori, ci si può chiedere perché la si definisca evoluzione e non progresso biologico. Il motivo principale è che la selezione naturale privilegia quei mutamenti che offrono un vantaggio immediato nell’ambiente in cui la specie vive, ma spesso tali mutamenti sono validi solo nel suddetto ambiente; per esempio, è un bene sviluppare una folta pelliccia in un clima molto freddo, ma se questo si riscalda, la stessa pelliccia diventerà un problema. Il progresso biologico è perciò relativo ad un dato ambiente, limitato a questo e viene più precisamente definito come adattamento, mentre l’evoluzione biologica non si ferma mai ed è anzi stimolata dai cambiamenti ambientali. Ad una continua evoluzione non corrisponde allora un continuo progresso, ragion per cui è bene non confondere i due concetti12.
12 R. Sabellotti, G. Sabellotti; A piccoli passi; Ofelon, 2007; p. 24.