Partecipo dunque sono?
Il principio di sussidiarietà implica quello di partecipazione. Questo legame è più evidente nella cosiddetta sussidiarietà orizzontale in quanto essa prevede che i cittadini siano in grado di autorganizzarsi con libere associazioni private, ma è presente anche nel caso della sussidiarietà verticale, perché nel momento in cui l’ente di livello superiore, per esempio una Regione, si astiene dall’intervenire in quanto quello di livello inferiore, per esempio un Comune, dimostra di poter autonomamente provvedere ai fabbisogni dei propri cittadini, ciò avviene solo e se i cittadini del Comune hanno un elevato spirito civico e partecipano attivamente alle iniziative dei propri amministratori comunali.
Se l’obiettivo è che il decentramento a favore degli Enti Locali territoriali, anche quello fiscale, porti ad una crescita delle popolazioni locali e ad una valorizzazione dei patrimoni dei territori (ambientale, culturale, economico, ecc.), allora è necessario che le scelte locali siano condivise dalle rispettive popolazioni. Uno strumento molto valido per diffondere questa nuova cultura fra la popolazione è quello del bilancio partecipativo. Tale strumento prevede che la popolazione partecipi attivamente alla formazione del bilancio comunale, quindi decida le priorità delle voci di spesa e il riparto delle risorse fiscali fra le stesse, in pratica il bilancio partecipativo deve aiutare a trasformare gli Enti Locali da centri di amministrazione burocratica a veri e propri laboratori di autogoverno. Laboratorio è il termine giusto perché se da una parte l’obiettivo del bilancio partecipativo è immediatamente chiaro, dall’altra la sua realizzazione pratica è tutt’altro che semplice. Si tratta infatti di uno strumento di democrazia diretta che implica la dif-fusione di un’adeguata cultura fra la cittadinanza, i cittadini devono avere un forte senso di appartenenza alla propria comunità, essere responsabili verso il bene comune, essere in grado non solo di controllare i propri governanti, ma anche di sup-portarli attivamente, consapevoli dell’estrema difficoltà della gestione amministrativa e fiscale di Comuni con centinaia di migliaia di residenti.
L’applicazione del bilancio partecipativo muove i primi passi in tempi relativa-mente recenti, la prima esperienza risale infatti al 1988 quando il Comune di Porto Alegre in Brasile decise di intraprendere questo percorso. Nonostante che il grado medio di istruzione dei cittadini di Porto Alegre fosse molto basso, l’iniziativa ha ottenuto un grande coinvolgimento della popolazione, soprattutto fra i ceti meno abbienti. Il fenomeno può sembrare apparentemente strano, invece è spiegabile se inquadrato da un punto di vista sociologico. Quanto più sono radicate in una persona abitudini di tipo culturale, tanto più è difficile cambiarle e fra i ceti più ricchi è più facile che si diffonda la disgregazione sociale (anche a livello familiare) piuttosto che la solidarietà, è più facile trovare abitudine alla concorrenza piuttosto che alla cooperazione, è più facile trovare agiatezza nello status quo piuttosto che disagio che spinge al cambiamento. Ecco allora che, alla luce di queste ultime considerazioni, è più semplice diffondere il sistema del bilancio partecipativo in una realtà di disagio piuttosto che in una comunità con caratteristiche diametralmente opposte.
Dall’esperienza di Porto Alegre, che ha avuto risonanza in tutto il mondo per i risultati positivi che hanno superato le aspettative, pian piano si sono sviluppate diverse applicazioni in diversi Paesi, nel 2000 venivano coinvolte circa 340.000 persone, nel 2008 si è passati a circa 6.500.000. L’Italia è uno dei Paesi più attivi in tema di bilancio partecipativo, ci sono più di venti Comuni che l’hanno sperimentato su una popolazione complessiva di oltre un milione di persone. La Regione più presente in tale sperimentazione è quella toscana la quale, con la legge regionale n. 67/2007 ha messo a disposizione dei fondi per i Comuni, per i cittadini e per le imprese impegnati nella realizzazione dei processi partecipativi sul territorio. Più recentemente anche la Regione Emilia Romagna, con la legge regionale 3/2010, ha previsto dei sostegni economici per ampliare la partecipazione attiva e il coinvolgimento dei cittadini anche con forme di democrazia diretta. Fra i Comuni coinvolti non ci sono state solo piccole realtà, ma anche città popolose come Parma, Reggio Emilia e Modena, nonché l’ex XI Municipio di Roma che ha una popolazione di oltre 135.000 persone. Tuttavia i risultati migliori si sono avuti nei piccoli centri per ovvi motivi: è molto più facile coinvolgere in un progetto comune persone che già si conoscono e che vivono vicine piuttosto che le persone di una città in cui la numerosità della popolazione abbatte drasticamente la possibilità di conoscenza e di frequentazione. L’esperienza più negativa è forse quella romana in cui il primo regolamento è stato approvato nel 2003 con scarsissimi risultati, anche a causa del regolamento stesso che prevedeva una struttura articolata nel seguente modo:
• Assemblee territoriali con i loro partecipanti. Ideata senza tener conto delle difficoltà logistiche e organizzative che dissuadono dalla partecipazione
• Consiglio Popolare di Quartiere. Che avrebbe dovuto essere espressione dell’Assemblea territoriale e costituita da un delegato ogni 15 cittadini, ma su una popolazione di 135.000 persone, anche con una partecipazione di solo il 10% degli aventi diritto, i delegati sarebbero comunque 900, quindi si ripresentano tutti i problemi evidenziati per le Assemblee territoriali
• Consiglio del Bilancio Partecipativo. Che avrebbe dovuto essere espressione del Consiglio Popolare di Quartiere in misura di un delegato ogni sette, quindi, rimanendo sull’esempio numerico sopra riportato, sarebbe stato composto da 128 persone.
Il regolamento prevedeva anche la formazione facoltativa di gruppi di lavoro in seno alle Assemblee territoriali, con l’obiettivo di esaminare, vagliare e rielaborare programmi di intervento su problematiche specifiche che richiedono competenze specialistiche. I problemi sopra evidenziati collegati alla numerosità della popolazione, unitamente alla mancanza di una netta suddivisione dei ruoli fra gli organi previsti, nonché alla carenza di un adeguato sistema informativo sia fra gli organi, sia fra organi e cittadini, ha comportato l’insuccesso dell’esperimento. Tuttavia il progetto di bilancio partecipativo nel municipio romano non è stato immediatamente abbandonato, si è provato ad apportare delle modifiche al regolamento sulla base delle esperienze effettuate ed è stato varato un secondo regolamento nel 2004. Purtroppo anche la seconda sperimentazione, ancorché snellita nella struttura, non ha portato a risultati incoraggianti data la scarsissima partecipazione ottenuta.
A parte l’esperienza romana, nel Lazio si sono anche avute iniziative positive, tanto che i Comuni interessati hanno deciso di fare rete per scambiarsi esperienze e progettualità ed hanno creato un network definito Rete dei Comuni e dei Municipi del Lazio. Tale rete ha l’obiettivo di riunire chi ha sperimentato con successo pratiche di bilancio partecipativo e di democrazia diretta al fine di istituire un luogo di confronto e di crescita di pubblica utilità.