Il federalismo fiscale rilancia l’imposta di scopo?
Il federalismo fiscale ha la finalità di instaurare una proporzionalità diretta fra le imposte riscosse in una determinata area territoriale, siano essi Comuni, Province o Regioni, e le imposte effettivamente utilizzate dall’area stessa. In Italia esso è previsto dalla riforma del titolo V della Costituzione, operata con la legge cost. n. 3/2001, la quale ha portato alla nuova formulazione dell’art. 119 della Costituzione, disponendo che Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni abbiano autonomia finanziaria sia di entrata che di spesa. Tale disposizione è un importante passo anche nella direzione del superamento del rapporto gerarchico fra Stato, Regioni, Province e Comuni a favore di un assetto paritario in cui i vari enti si differenziano per funzioni di competenza. Ai principi generali del federalismo fiscale inseriti nella Costituzione ha fatto seguito la Legge delega 42/2009 la quale prevede la graduale sostituzione, per tutti i livelli di governo, del criterio della spesa storica. Tale principio consiste nell’attribuire i trasferimenti statali agli enti locali in base a quanto gli stessi hanno speso in passato. Si tratta evidentemente di un sistema intrinsecamente perverso in cui più spendi più sei premiato a prescindere da come spendi, una sorta di incentivo all’inefficienza. Il criterio del fabbisogno standard, che dovrebbe sostituire quello della spesa storica, è invece diretto ad individuare il livello di spesa congruo rispetto ad un dato servizio in modo che diventi il parametro in base al quale rapportare le risorse finanziarie autonome. A favore delle regioni con minore capacità fiscale, così come prevede l’art.119 della Costituzione, interverrà un fondo perequativo, assegnato senza vincolo di destinazione con l’obiettivo di garantire gli stessi standard di prestazione nell’erogazione dei servizi di competenza nonostante gli squilibri economico-sociali. Il federalismo fiscale per diventare operativo necessita di una serie di provvedimenti che si snodano nell’arco di 7 anni: 2 anni per l’attuazione e 5 di regime transitorio. I diversi decreti attuativi emanati nel biennio previsto dalla legge delega contengono le disposizioni che caratterizzeranno l’assetto del federalismo fiscale al termine del periodo transitorio, in modo da trasformare l’aspirazione al federalismo fiscale in realtà.
Nel perseguire il federalismo fiscale la legge delega del 2009 ha dato nuovo slancio anche alle imposte di scopo, in particolare disponendo che le Regioni, con proprie leggi, possono istituire tributi propri di scopo in base ai presupposti non già as-soggettati ad imposizione erariale, nonché stabilendo che i Comuni possano applicare uno o più tributi di scopo con particolari finalità, quali:
• La realizzazione di opere pubbliche e di investimenti pluriennali nei servizi sociali
• Il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana
L’utilizzazione del termine “quali” lascia intendere che il suddetto elenco non sia tassativo come avvenuto nel 2006, prevedendo che altre norme statali o regionali possano perseguire ulteriori finalità. Il decreto attuativo 23/2011 in tema di federalismo municipale, recependo tali princìpi della legge delega, ha disposto una revisione dell’ISCOP nonché la facoltà di introdurre un’imposta di soggiorno per finanziare interventi in materia di turismo, di beni culturali ed ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali, da parte dei Comuni capoluogo di Provincia, delle Unioni di Comuni ed ai Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte.
La nuova ISCOP 2011 porta importanti novità alleggerendo i vincoli posti con la legge istitutiva del 2006, in particolare amplia molto le categorie delle opere pubbliche finanziabili, apre al finanziamento dei servizi sociali, estende a dieci anni il periodo di prelievo e prevede la possibilità di integrale copertura del costo dell’opera. Tuttavia viene confermata la natura di addizionale immobiliare trasferendo gli originari collegamenti all’ICI alla nuova normativa IMU e viene mantenuto il periodo di due anni entro il quale, se non si iniziano i lavori, l’imposta deve essere restituita. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, non è chiaro cosa si intenda per inizio dei lavori, potendo questi essere collegati all’aggiudicazione dei lavori (momento in cui insorge l’obbligo da parte dell’aggiudicataria ad eseguirli), piuttosto che all’ottenimento di tutti i permessi necessari, oppure all’inizio dei lavori materiali. D’altra parte, se l’obbligo di restituzione è stato concepito a tutela dei cittadini affinché vedano realizzata l’opera per cui hanno pagato oppure ottengano indietro quanto versato in caso di mancata realizzazione dell’opera stessa, è curioso che tale obbligo sia collegato ad un termine di inizio e non di fine lavori. In questo modo, per assurdo (ma non tanto), un Comune potrebbe posare la prima pietra entro i due anni (con tanto di conferenza stampa) ed esimersi dalla restituzione del tributo pur tralasciando di portare a compimento l’opera e purtroppo le cronache non raramente ci ragguagliano circa costosissime opere pubbliche rimaste incompiute. È da notare che si può creare anche un problema diverso: un Comune potrebbe trovarsi nella condizione di non poter iniziare i lavori entro due anni, e quindi a dover restituire il tributo, a causa dei limiti imposti dal patto di stabilità interno. Tale patto obbliga oggi i Comuni a mantenere un saldo finanziario circoscritto entro para-metri ben definiti e, dato che le spese di investimento, benché finanziate da un’imposta di scopo, concorrono alla determinazione del saldo finanziario, il rischio di non poter procedere alle opere per ragioni di restrizione alla finanza pubblica è molto elevato.
Nonostante dunque gli sforzi dei decreti attuativi del 2011 a voler dare nuova linfa all’ISCOP, questa non ha ancora mai raggiunto alcuna applicazione rilevante.